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Marco si trovava in una grande piazza, di fronte a una folla altrettanto grande, rivolta verso il palco da cui stava parlando.
Poco dietro di lui, seduti in una panca alla sua sinistra, stavano Carapino e Misternico, mentre a destra c’era il suo vecchio amico Salvo.
Non si stava preoccupando di nessuno di loro tre, tuttavia, completamente focalizzato com’era sul discorso che stava facendo alla folla.
Doveva essere Roma, a giudicare dall’obelisco che vedeva più avanti.
Si era preparato un discorso, stampato nel foglio posato sul leggio, ma in realtà le parole gli uscivano di bocca da sole, spontanee, come in un flusso, tanto che aveva abbandonato la posizione del leggio e si era portato a ridosso del bordo del palco. Sentiva dentro uno strano calore, nel centro del petto.
Si era immaginato il suo discorso acceso e infervorato, e invece esso era divenuto calmo, centrato, nelle parole e nei toni. Pur tuttavia, sentiva che le sue parole avevano una grande potenza, e che stavano scuotendo gli animi delle persone presenti, che lo ascoltavano in un silenzio surreale, date le dimensioni della folla.
A un certo punto sentì che era il caso di terminare, nonostante nella sua scaletta vi fossero altre cose, perché percepì che l’energia collettiva era matura per la chiusura. Disse qualcosa riguardo al grande senso di responsabilità che ha ogni essere vivente, soprattutto le persone consapevoli di certe realtà, e concluse lasciando nel cuore dei presenti la certezza che le cose non potevano che cambiare, stavano già cambiando, e in bene.
Un fragoroso boato salutò le sue ultime parole e… Marco si svegliò.